sabato 18 giugno 2016 ore 21:00
Beinette, Chiesa Parrocchiale
via Granetti, 5
per la rassegna Sentieri di Musica
domenica 26 giugno 2016 ore 17:00
Torino, Chiesa di S. Rocco
via S. Francesco d'Assisi, 1
per la stagione di MusicaViva
mercoledì 29 giugno 2016 ore 21:00
Savigliano, Confraternita della Pietà
piazza Cesare Battisti
Le ragioni del cuore
I nostri cari - legami interrotti. Quale eredità?
nel primo anniversario di Dario Cavallo (1975-2015) - Concerto in memoriam
gruppo vocale "Ensemble del Giglio"
Coro Sicut Lilium
Stefano Pellegrino, violoncello
Luca Cerelli, sax soprano
Bartolomeo Gallizio, organo
Livio Cavallo, direttore
Ingresso libero e gratuito
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Programma:
Ola Gjeilo (1978)
Ubi caritas (2001)
Antonio Lotti (1667-1740)
Crucifixus
John Tavener (1944-2013)
Funeral Ikos (1981)
Gabriel Fauré (1845-1924)
Cantique de Jean Racine (1864)
Johannes Brahms (1833-1897)
Geistliches Lied, Op. 30 (1856)
James Whitbourn (1963)
Requiem canticorum (2010)
John Rutter (1945)
Out of the deep (1985)
Felix Mendelssohn (1809-1847)
Verleih uns Frieden (1831)
“[…] dedicato a tutte le arti, al di là delle preferenze e delle distinzioni per l’una o l’altra disciplina, e al di sopra di critiche e concetti contorti, estraneo alla moda ed al tipo di arte stereotipata di molta produzione del giorno d’oggi.
Lo stile è personale, il gusto è soggettivo. Spero nel pubblico, […], quello da cui provengono emozioni vere e sentimenti cristallini di curiosità, di osservazione, […] .
Spero nel valore genuino dell’opera d’arte come dedizione e vocazione più che come produzione o affermazione, non dimenticando tuttavia, che anche queste rientrano nella professionalità dell’artista. Non sempre ad un’opera d’arte di alto valore appartiene la giusta importanza culturale, spirituale o una grande proprietà emotiva e viceversa.”
dal manifesto artistico di Dario Cavallo (tratto dal suo sito internet)
Scorcio di un sognatore, un idealista, un’anima bella, quando sognava, desiderava, creava.
Continuo il contatto con la fatica, dolorosa l’esperienza del limite, infaticabile la dedizione, promettenti ed entusiasmanti le opere.
Poi venne l’età del distacco e del disincanto. L’istinto creativo dovette trovare altre vie, non più materiche, ma virtuali, estremamente tecnologiche. Sempre restò la passione per la forma, l’equilibrio, il sapere artigianale, la bellezza della creazione più che del gesto creativo.
E poi vicende, episodi, tanti accadimenti privati, che sempre si coagularono intorno alla poetica e in qualche modo modellarono le opere artistiche, lasciando segni profondi, cicatrici dolorose, dietro alle quali ancora trapelava il cuore, il palpito fanciullesco della meraviglia.
E venne l’imponderabile che tutto travolse e spezzò. Irrimediabilmente, prematuramente.
Una breve storia di Dario, mio fratello.
Una storia che, al di là del mio personalissimo legame, può forse offrire spunti di riflessione sull’eredità affettiva che ci viene lasciata dai nostri cari, nascosti sognatori, laboriosi artigiani, operosi lavoratori o artisti che siano: degli uni possiamo più facilmente immaginare il mondo interiore, il loro immaginario, perché ne vediamo le opere, le rappresentazioni; degli altri riusciamo talvolta ad intravvedere alcuni scorci, per altre vie.
Cosa resta di loro, del loro “sacro ardore”? Cosa lascia una dipartita così prematura?
Forse gli affetti personali? O piuttosto il mondo interiore? Le realizzazioni o quanto ancora irrealizzato? A quali aspetti è giusto che rendiamo memoria? Qual è la loro eredità?
I desideri. Sento che restano i desideri, i progetti comuni, ma anche ciò che noi stessi speravamo per loro e quel che noi sappiamo essere state le loro aspettative, le loro speranze future, la loro idea di bello e di giusto, la loro poetica.
Restano forse le nostre domande e resta in noi il bisogno di quei riferimenti acquisiti, parte della nostra vita, per la nostra profonda identità, che ora sembrano svanire.
Restano infine i fatti, gli oggetti, le attività insieme.
Non svanisce dunque questo denso nodo in cui si incrociano tante vie; vie diverse, alcune reali altre forse immaginarie, concreti scambi e fittizie illusioni; vite di persone che hanno avuto contatti fugaci, relazioni stabili, profondi legami.
Questo denso nodo non è troncato dalla morte improvvisa.
Questo denso nodo è stato creato dalle ragioni che il cuore ha costruito in vita con altri ed i suoi intrecci rimarranno. A brindelli, irriconoscibili, forse illusori, come petali sparsi, come profumo di rose: nulla ed allo stesso tempo assolutamente presenti.
Restano tanti interrogativi che possono assumere la levità della poesia, divenire il conforto della preghiera, come nel sorprendente testo di Funeral Ikos, tratto dalla liturgia Ortodossa: “[i defunti] Si ricordano della propria gente, come noi facciamo di loro? O hanno dimenticato tutti quelli che li piangono e che cantano: Alleluia” (“Do they call to mind their own people, as we do them? Or have they forgotten all those who mourn them and make the song: Alleluia”). Interrogativi cui la grazia della Fede Cristiana risponde con consolazione e dona speranza, come nell’incipit di Geistliches Lied, su testo di Paul Fleming, figlio di una pastore Protestante: “Non lasciarti turbare dagli affanni, rimani tranquillo, come Iddio dispone, così sii soddisfatta, o mia volontà!” (“Laß dich nur nichts nicht dauren mit Trauren, sei stille, wie Gott es fügt, so sei vergnügt mein Wille!”) e più oltre “ciò che Iddio ha deciso, quello è e sarà il meglio” (“was Gott beschleußt, das ist und heißt das Beste”).
Riflessioni qui abbozzate, un po’ naïve, che preferiamo offrire e sviluppare più compiutamente in musica, linguaggio che può superare la necessità di una storia, della ragione, di senso; linguaggio che va dritto al cuore.
Proponiamo un programma di brani intimi e affettuosi, romantici e contemporanei, ora strazianti ora ricchi di speranza, alcuni “severi” altri coinvolgenti. Dal lavoro di ricerca e selezione dei brani per questo concerto è emerso in particolare il toccante “Requiem canticorum” di J. Whitbourn, per coro, organo e sax soprano, strumento al quale Dario si era dedicato con passione in gioventù; è stato quindi naturale scegliere alcuni brani originariamente scritti per coro e organo e trascriverli per coro, organo, violoncello e sax, senza snaturarne il carattere, ma piuttosto rifacendosi alla tradizione ottocentesca degli adattamenti cameristici, per la musica tra amici, momento di condivisione più che di spettacolo; dimensione non estranea a Brahms, Fauré e Mendelssohn.
Numerosi tratti accomunano, con percorsi diversi, i brani di questo programma.
O. Gjeilo, compositore norvegese che vive a New York e gli inglesi J. Tavener e J. Whitbourn, nei brani qui proposti, utilizzano un linguaggio essenziale, diremmo quasi minimale, estremamente asciutto, scevro da orpelli melodici, quasi privo di sviluppo formale; il materiale musicale utilizzato e le armonie rimandano a qualcosa di interiore ed iconico; ciò, insieme ai testi, tratti dalla liturgia cattolica, protestante e ortodossa, conferisce a questi brani contemporanei qualcosa di antico.
Al contrario, l’ “antico” ed italianissimo A. Lotti, in pieno periodo barocco, scrive il Crucifixus a 8 voci con un gusto per la dissonanza che, mutatis mutandis, lo accosta, per questo aspetto, a certa musica contemporanea.
Dalla “severità” di questi brani emerge una serenità di fondo, un’affettuosa umanità che abbiamo voluto affiancare a tre grandi compositori romantici: Brahms, Fauré e Mendelssohn. Tra questi abbiamo inserito il De Profundis (“Out of the deep”) di J. Rutter, tratto dal suo celebre Requiem, che, pur distante come linguaggio musicale, impiega diffusamente il chiaroscuro ed il cromatismo, quasi a voler scavare nell’animo, come i romantici, per esplorare il profondo dell’abisso e trovare salvezza nel trascendente.
Il concerto si conclude con il celebre “Verleih uns Frieden” (“Dona a noi la pace”) di Mendelssohn, originariamente scritto per coro ed orchestra; il testo è la versione di Martin Lutero del diffuso inno “Da pacem Domine” del VII secolo, basato su testi biblici.
“Dona a noi la pace, con la tua grazia
Signore Dio, nel nostro tempo.
Egli è davvero l’unico
che per noi potrà lottare
il solo, Dio nostro.”